XXVII estiva - 2000 Sidney (AUS)

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2000 Sidney (AUS)


I Giochi della XXVII Olimpiade si svolsero a Sydney in Australia dal 15 settembre al 1º ottobre 2000.
Per la seconda volta nella sua storia i Giochi Olimpici arrivano in Australia: dopo Melbourne '56 è la volta di Sidney 2000. Sono Giochi tranquilli dal punto di vista politico, per fortuna, ed anzi, la cerimonia d'apertura segna uno storico abbraccio tra le due Coree che sfilano insieme. Durante le gare poi le due rappresentative si separano ed ognuna fa Giochi per conto proprio, ma è un passo, un contributo importante verso la ricucitura di una delle ultime ferite della guerra fredda. Le ferite più recenti sono invece quelle di Timor Est: il piccolo paese cattolico si è sottratto da poco all'Indonesia e la sua situazione è tutt'altro che tranquilla, con i caschi blu dell'ONU a cercare di portare ordine dopo le violenze dei filo-indonesiani. Il CIO decide di far gareggiare sotto la bandiera olimpica quattro atleti provenienti da Timor Est ed anche questo è segnale di speranza.
Le nazioni partecipanti sono 199 più Timor per un nuovo record di 10651 atleti. Le gare salgono a 300 con gli ingressi del triathlon e del taekwondo, un'arte marziale già vista sotto i cinque cerchi a titolo dimostrativo. Arrivano anche il sollevamento pesi ed il pentathlon al femminile. Sono innesti che permettono, tra l'altro, di vedere nuove nazioni sui podi olimpici: è il caso della Colombia con la sollevatrice di pesi Maria Isabel Urrutia, primo oro per il suo paese, e del Vietnam con l'argento nel taekwondo di Hieu Ngan Tran.
C'è grande attenzione per i controlli antidoping, che vengono intensificati: con l'imminente passaggio di consegne alla presidenza del CIO in favore del belga Jacques Rogge, quest'indirizzo prenderà ancora più corpo e forza. Qui infatti saluta le Olimpiadi il presidente uscente, lo spagnolo Samaranch, che durante i suoi ultimi Giochi alla massima carica del CIO si divide tra l'Australia e l'Europa dove la moglie è morente.
Le Olimpiadi di Sidney si aprono all'insegna della riconciliazione tra gli aborigeni australiani e i colonizzatori europei. Facili retoriche ed effettive conquiste si intrecciano nella storia della divetta Nikki Webster, una ragazzina australiana protagonista della cerimonia d'apertura del 15 settembre, e nel suo incontro con gli aborigeni. Si intrecciano così come fanno l'acqua e il fuoco nella suggestiva scenografia che abbraccia l'accensione della fiaccola olimpica da parte di Cathy Freeman. La Freeman, grande quattrocentista, ma soprattutto aborigena australiana, vuol essere il segno più tangibile della riconciliazione ed anche il ricordo dei 100 anni dalla prima partecipazione femminile ai Giochi (Parigi 1900). Tutte le tedofore all'interno dello stadio di Sidney sono a questo proposito donne, tra le quali la grande Dawn Frazer, cui si riallaccia il team della riconciliazione. Allontanata dalla squadra australiana per aver rubato una bandiera dal palazzo imperiale alle Olimpiadi di Tokyo, la Frazer ritrova qui il grande palcoscenico dei Giochi, acclamata dal pubblico.
Su Cathy Freeman si riversa un'attesa spasmodica da parte di tutta l'Australia: è la grande favorita dei 400 metri e può essere la prima aborigena australiana a vincere un oro olimpico. E la Freeman non delude. Assente la vincitrice di Atlanta, Marie Josè Perec, l'australiana non trova atlete in grado di impensierirla e tra l'ovazione dell'Olimpic Stadium va a vincere facilmente in 49'11. Fasciata da una tuta che la avvolge dalla testa ai piedi, la Freeman raccoglie per il tradizionale giro d'onore la bandiera dell'Australia ma anche quella degli aborigeni. Una vittoria simbolica, voluta fortemente da tutta l'Australia, simbolica come il tatuaggio che Cathy porta sulla spalla e che recita "perché sono libera".
La cerimonia d'apertura permise di entrare subito nello spirito di quella Olimpiade: semplicità, ma anche arte, spettacolo, niente di banale, atmosfera di grande amicizia. Il presidente del Comitato olimpico internazionale, il catalano Juan Antonio Samaranch, alla fine del suo mandato, dopo aver ricevuto tante critiche per Atlanta, poté congratularsi della decisione presa al congresso di Montecarlo del 23 settembre 1993, quando aveva annunciato che la sede della ventisettesima Olimpiade sarebbe stata Sydney, che aveva prevalso su altre possibili scelte di spessore come quelle di Berlino e di Manchester; nel congresso si era valutata ancora troppo debole la posizione della Turchia e di Istanbul, mentre veniva 'tenuta in caldo' la controversa candidatura di Pechino, poi designata per il 2008. La soddisfazione crebbe con il passare dei giorni e nel giorno di chiusura Samaranch affermò che erano stati "i Giochi Olimpici più belli mai organizzati nell'era moderna". Il CIO era soddisfatto anche per il ritorno economico: 2.600.000 euro entrati nelle casse del movimento olimpico.
L'Olimpiade vide ben 80 paesi tornare a casa con almeno una medaglia, un primato pure questo. Gli Stati Uniti dominarono con 97 successi, 40 medaglie d'oro, davanti a Russia, Cina (un primo messaggio pensando a Pechino 2008), Australia, Germania, Francia e Italia: un'Italia che nell'anno della grande crisi economica del suo Comitato olimpico nazionale (che ha vissuto bene fino a quando è rimasto economicamente autonomo, mostrando la strada anche ad altre organizzazioni sportive del mondo), trovava ancora slancio. Le medaglie italiane furono 34 di cui 13 d'oro, ripetendo più o meno il risultato di Atlanta.
Nelle Olimpiadi del 2000, l'Australia seppe dimostrare perfettamente la sua ottima organizzazione: le strutture sportive furono sempre eccezionali e all'avanguardia, i servizi furono eccellenti durante tutto il corso dell'Olimpiade e inoltre bisogna anche ricordare la perfetta copertura radiotelevisiva che venne offerta. In sintesi, nulla venne lasciato al caso. Durante la cerimonia di chiusura, Juan Antonio Samaranch all'epoca presidente del CIO, elogiò espressamente quest'olimpiade definendola "la migliore di tutte fino ad allora celebrate".
Quella di Sydney è stata la più rosa delle nostre Olimpiadi. Sei ori su 13 appartengono al gentil sesso, con un clamoroso balzo rispetto alle ultime edizioni: tre ad Atlanta, due a Barcellona, addirittura nessuno a Seul. Poco importa che in quattro anni sia sceso il numero complessivo di medaglie femminili (da 14 a 11). Nell' anno finanziariamente più difficile per il Coni, lo sport azzurro eguaglia il bottino dorato di Atlanta ' 96, praticamente il record azzurro visto che i 14 ori di Los Angeles ' 84 furono favoriti dal boicottaggio del blocco dell' Est. Nel medagliere gli Usa precedono Russia e una Cina in grande crescita; l'Italia è settima, con 13 ori, 8 argenti e 13 bronzi.
Jan Zelezny, giavellottista ceco di Mlada Boleslav, a 34 anni vinse la terza medaglia d'oro consecutiva dopo aver esordito sul podio a Seul, nel 1988, con un argento. Altra stella dell'atletica fu Maurice Greene, velocista di Kansas City, ventiseienne primatista del mondo nei 100 m, che batté, sia pure con un tempo non paragonabile ai grandi risultati cronometrici che aveva ottenuto in carriera, il suo compagno d'allenamento Ato Boldon che correva per Trinidad. Già presente ad Atlanta, Boldon nei 200 m fu terzo, guadagnando la sua quarta medaglia olimpica, con il rammarico di non averne mai presa una d'oro individualmente.
Se l'atletica fu senza record, ma con giganti in pista, il nuoto vide tanti primati e veri fenomeni ai blocchi di partenza. L'uomo dell'Olimpiade nella vasca di Homebush, nell'Aquatic Center situato fra le strade dedicate a Shane Gould e Dawn Fraser, due regine del grande sport mondiale, signore dell'acqua in altre Olimpiadi, fu Ian Thorpe, australiano nato il 13 ottobre 1982 a Paddington. Manifesti con la sua immagine erano un po' in tutta la città, veniva considerato un altro simbolo dello sport australiano e in gara dimostrò di aver meritato tanta considerazione: alle 19.15 del 16 settembre, primo giorno di gare olimpiche, nella finale dei 400 m stile libero fece fermare i cronometri sui 3′40,59″, lasciando al secondo posto il napoletano Massimiliano Rosolino che iniziò quella sera il grande viaggio verso la sua Olimpiade delle meraviglie. Un'ora dopo, passando attraverso la gioia della premiazione, Thorpe tornò in acqua, pronto per la battaglia con gli Stati Uniti nella staffetta 4 x 100 m. Lanciato da Michael Klim, Chris Fydler and Ashley Callus vinse per 19 centesimi. Il terzo oro venne nella 4 x 200 m stile libero, mentre nei 200 m stile libero fu battuto dal ventiduenne olandese Pieter van den Hoogenband, che dopo Mark Spitz (1972) è stato l'unico nuotatore a detenere nello stesso tempo il titolo olimpico dei 100 e 200 m stile libero, oltre ai relativi primati mondiali. Nei 200 m, dietro a lui e Thorpe, si piazzò ancora Rosolino. Nei 100 m la vera impresa dell'olandese era stata quella di tagliare la strada a Popov, impegnato nella ricerca del terzo oro consecutivo nella stessa gara, impresa mai riuscita in cento anni di storia olimpica. La scuola di nuoto olandese si confermò brillantemente con Inge de Bruijn, che conquistò una tripla corona con primato del mondo: prima nei 50 e 100 m stile libero, poi campionessa dei 100 m farfalla. L'Africa restò padrona del calcio olimpico perché nella finale il Camerun, rimontando due gol di scarto, batté la Spagna ai rigori, riportando nel continente l'oro che quattro anni prima era stato conquistato dalla Nigeria. Africani furono anche i dominatori della maratona, corsa fra due ali di folla sul Sydney Harbour Bridge: l'etiope Gezahegne Abera vinse la medaglia dedicandola a Gebrselassie che nei suoi progetti aveva proprio la maratona come ultimo atto in una carriera straordinaria.
Nel judo, stranamente, il personaggio alla ribalta non fu un giapponese ma il francese David Douillet, che nei pesi massimi arrivò alla seconda medaglia d'oro battendo Shinichi Shinohara in una finale contestatissima. Il campione francese fece il suo capolavoro in un torneo dove non doveva neppure essere presente perché un incidente motociclistico lo aveva mandato in ospedale con problemi seri a una spalla e alla schiena.

Fonti


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