Differenze tra le versioni di "XIV estiva - 1948 Londra (GBR)"

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===1948 Londra (GBR)===
===1948 Londra (GBR)===
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Versione delle 20:14, 23 ott 2017

IMMAGINI

1948 Londra (GBR)


Città ospitante Londra, Gran Bretagna
Nazioni partecipanti 59
Atleti partecipanti 4.104 (3.714 Uomini - 390 Donne)
Competizioni 136 in 17 sport
Cerimonia apertura 29 luglio 1948
Cerimonia chiusura 14 agosto 1948
Aperti da Giorgio VI del Regno Unito
Giuramento atleti Donald Finlay
Ultimo tedoforo John Mark
Stadio Wembley

I Giochi della XIV Olimpiade (in inglese Games of the XIV Olympiad) si sono svolti a Londra, nel Regno Unito, dal 29 luglio al 14 agosto 1948.
Un'Europa distrutta e divisa, impoverita e affamata, era il triste risultato della Seconda guerra mondiale. La Germania, che quella guerra aveva voluto, appariva un cumulo di macerie sotto le quali era stato seppellito, infine, il nazismo. Ma l'alleanza tra le democrazie occidentali ‒ guidate da Stati Uniti e Gran Bretagna ‒ e l'Unione Sovietica era evaporata con la vittoria militare: calava sul continente, d'improvviso, la 'cortina di ferro'. In quelle circostanze, la ripresa delle competizioni sportive ‒ e in particolare dei Giochi Olimpici ‒ non appariva facile. Le difficoltà erano molteplici e non soltanto di ordine economico: occorrevano, per riprendere il cammino interrotto nel 1936, impianti adeguati e atleti all'altezza. Occorreva, soprattutto, la mobilitazione degli uomini di buona volontà che, rifiutando il pessimismo di quei giorni, riaccendessero la scintilla dell'entusiasmo e dell'ottimismo. I Giochi Olimpici apparvero come l'avvenimento capace di offrire, soprattutto alla gioventù, qualche speranza per l'umanità così da poter riprendere un cammino di pace, fatto d'incontri e non di scontri. La ricostruzione sarebbe stata rapida quanto il recupero della forma da parte degli atleti e, infine, l'idea di uguaglianza ‒ combattuta dal nazismo con criminale ferocia ‒ avrebbe potuto avanzare più svelta se sospinta anche dall'esempio dei campioni.
A proposito del barone De Coubertin, dopo la sua morte (nel 1937) la poltrona che fu sua per tanti anni, la presidenza del CIO, passò nel frattempo al belga Henry de Ballet Latour e alla scomparsa di quest'ultimo allo svedese Edstroem. Far ripartire dunque la macchina dei Giochi si presentava un'impresa tutt'altro che facile, ma per fortuna si fece avanti Londra, che nonostante era ancora devastata dai bombardamenti tedeschi, salvò per la seconda volta le Olimpiadi. Già agli albori infatti gli inglesi erano intervenuti in una situazione molto difficile dopo due edizioni fallimentari e l'improvvisa rinuncia di Roma nel 1908.
Le due Olimpiadi saltate per la guerra, previste per il '40 e il '44, non crearono soltanto una lunga teoria di atleti caduti sui diversi fronti, ma impedirono che alcuni grandi atleti salissero sul podio, come l'olandese volante, al secolo Cornelius Warmerdam, nell'asta, o Harbig nel mezzofondo, e ancora nella corsa lunga gli svedesi Haegg e Andersson. Eppure l'atletica conservò il primo posto nelle attenzioni della gente e a Londra oltre a essere illuminata dalle imprese della Blankers-Koen, sfornò diverse sorprese, miracoli e ci regalò un'immensa soddisfazione, la doppietta Consolini-Tosi nel disco.
I giochi furono aperti ufficialmente il 29 luglio. Bande dell'esercito iniziarono a suonare alle 2 del pomeriggio per gli 85.000 spettatori dello Stadio di Wembley. Gli organizzatori nazionali e internazionali arrivarono alle 14:35 circa e il re Giorgio VI e la regina Elisabetta con altri membri della famiglia reale, si presentarono alle 14:45. Quindici minuti più tardi iniziò la sfilata delle nazioni all'interno dello stadio che durò all'incirca 50 minuti. L'ultima squadra fu, come tradizione, quella del paese ospitante ossia il Regno Unito.
Alle 4 del pomeriggio il re dichiarò ufficialmente aperti i Giochi della XIV Olimpiade. 2500 piccioni furono liberati nell'aria e la bandiera olimpica fu innalzata. L'artiglieria a cavallo Reale suonò 21 colpi di cannone e l'ultimo tedoforo salì i gradini del calderone olimpico. Dopo aver salutato la folla, si voltò e si accese la fiamma. Dopo altri discorsi, Donald Finlay della squadra inglese recitò il giuramento olimpico a nome di tutti i concorrenti.
La cerimonia di apertura fu trasmessa in diretta televisiva della BBC che a quanto pare aveva pagato una somma di 1000 sterline per i diritti di trasmissione.
La scelta di Londra come sede della prima edizione olimpica postbellica ebbe anche un forte carattere simbolico. La Gran Bretagna era stata la fiera avversaria del nazismo e Londra era la città che più di ogni altra Hitler avrebbe voluto distruggere: se Berlino aveva trionfalmente ospitato l'ultima edizione dei Giochi, esaltando la forza organizzativa, economica e militare della Germania nazista, toccava ora alla democrazia britannica dimostrare che i valori morali dell'olimpismo potevano trovar casa soltanto in un paese libero, rispettoso dei diritti dell'uomo.
Alla XIV Olimpiade vi presero parte oltre 4000 atleti (con qualche oscillazione a seconda delle fonti). Sul numero dei Comitati olimpici nazionali rappresentati, ovvero delle nazioni presenti, non vi sono invece dubbi: 59 paesi risposero all'invito, cioè dieci in più di quanti avevano partecipato all'ultima edizione, quella di Berlino 1936. Il programma comprendeva 20 discipline per un totale di 136 competizioni.
Nonostante a Londra la partecipazione femminile fosse limitata a poco più del 10% degli atleti presenti, nessuno storico dello sport può oggi mettere in dubbio che a dominare quei Giochi, conquistando l'attenzione e l'ammirazione dell'opinione pubblica mondiale, fu proprio una donna, l'olandese Fanny Blankers Koen che, con le sue straordinarie esibizioni di grazia e di talento, conquistò soltanto quattro medaglie d'oro perché i regolamenti dell'epoca impedivano di prender parte a più di quattro competizioni. In realtà Blankers Koen deteneva sei record del mondo: 100 m (11,5″), 80 m ostacoli (11,00″), salto in lungo (6,25 m), salto in alto (1,71 m), 4 x 110 yards (47,4″), staffetta 4 x 200 m (1′41″). Dovendo scegliere, con l'aiuto del marito Jan Blankers, suo allenatore sin dagli anni giovanili, decise di lasciar perdere i salti, concentrandosi soltanto sulle tre gare di corsa (100 m, 200 m, 80 m ostacoli), per poter contribuire poi al successo olandese nella staffetta 4x100 m. In sette giorni di competizioni, la trentenne atleta olandese disputò undici gare, vincendo quattro titoli olimpici ed eguagliando quello che Jesse Owens aveva fatto nel 1936. Nessuna donna, invece, è più riuscita nella stessa impresa, neppure Marion Jones che, 52 anni più tardi, a Sydney, avrebbe sì vinto cinque medaglie, ma soltanto tre d'oro. Anche l'Italia fece la sua bella parte nell'atletica, soprattutto per merito di due fortissimi lanciatori di disco: il veneto Adolfo Consolini e il piemontese Giuseppe Tosi. Il favorito della gara era l'americano Fortune Gordien, ma la sua sicurezza dimostrata prima della gara gli giocò un brutto scherzo. I due azzurri passarono subito al comando con i primi lanci e non vennero più scavalcati: oro e nuovo primato olimpico per Consolini, argento per Tosi. Anche le ragazze si fecero sentire nei lanci: Amelia Piccinini e Edera Cordiale si arresero solo alla francese Ostermeyer (che era anche pianista!) rispettivamente nel peso e nel disco. Dall'atletica arrivò anche la conferma della staffetta veloce che salì ancora sul podio come nell'ultima edizione di Berlino. Perriconi, Seddi, Monti e Tito furono 3° dietri a americani e inglesi, poi passarono 2° per una squalifica comminata per cambio irregolare ai vincitori e infine tornarono sul 3° gradino per la riammissione degli americani.
Il Comitato olimpico britannico con la fine della seconda guerra mondiale e con la ripresa della cadenza quadriennale dei moderni giochi olimpici decise di affidare all'inglese nonché regista Castleton Knight, l'incarico di firmare quello che può essere considerato tutt'oggi “la prima riunione pacifica dei popoli” oltre ovviamente alla “grande riunione sportiva” avvenuta dopo la fine dei due tragici conflitti mondiali. Interessante è osservare come il regista inglese decise di evitare volutamente ogni forma di riferimento all'attualità internazionale e al richiamo del costume sociale per porre invece tutta l' attenzione sulla potenza del documento sportivo.
Il titolo della pellicola fu “XIV th Olympiad – The Glory of Sport”, dove però il senso del termine Glory non voleva essere tanto identificato come un desiderio di glorificazione in chiave economicista, quanto piuttosto il bisogno di trovare un motivo accomunante di celebrazione dell'essere umano. L'obiettivo di Castleton Knight fu quello di realizzare una pellicola limitandosi a riportare i fatti sportivi senza compiere alcuna indagine sociologica, preoccupandosi anzitutto di informare su quanto accadesse in campo o in pista. Esistette insomma una specie di forte investimento sia morale sia economico su questo film, che simbolicamente rispecchiò l'impegno degli organizzatori a far sì che la cosiddetta Olimpiade della ripresa e della riunione diventasse, nonostante la breve fase preparatoria (due soli anni disponibili), la prova rinnovata della solidarietà e della pace mondiale.
Una novità molto interessante che riguardò questa pellicola fu l'introduzione del colore, che attraverso il lavoro di decine di operatori diventò in breve tempo un importante elemento sia della cinematografia inglese che del documento televisivo. Il technicolor dei laboratori londinesi aggiunse importanti elementi alle gare, quali il trasporto, lo spettacolo e il naturalismo, soffermandosi in modo particolare su due grandi protagonisti, la mamma volante, ossia l'olandese Fanny Blankers-Koen (quattro ori in altrettante gare in cinque giorni) e il trionfatore dei Giochi, il ceco Emil Zatopek (un oro nei diecimila e un argento nei cinquemila). Il lungometraggio ottenne all'epoca un buon successo europeo e nordamericano, anche perché la sua attesa nelle sale fu ampiamente giustificata sia dall'inedito scenario internazionale, sia dal rifiuto di molte nazioni (Gran Bretagna e Stati Uniti comprese) di proiettare il film della Riefenstahl.

Vedere anche


Fonti